12.1 Disturbo dell’Attaccamento
l termine attaccamento viene utilizzato per indicare l’intenso legame affettivo che si stabilisce con persone particolari, la cui presenza rassicura nei momenti di tensione emotiva e procura un senso di benessere, di gioia e di piacere nelle diverse situazioni della vita quotidiana. Tale legame si forma e si stabilizza nel corso della prima infanzia, manifestandosi sotto forma di ricerca, di vicinanza e di contatto fisico con la madre, figura che viene solitamente preferita dal bambino rispetto alle altre. Il legame di attaccamento viene considerato il prototipo di tutte le successive relazioni sociali che il bambino stabilirà: esso, inoltre continua a esercitare la sua influenza su vari aspetti dello sviluppo, nel corso dell’intero ciclo di vita.
Il britannico John Bowlby (1907-1990) fu lo studioso che elaborò la teoria dell’attaccamento, facendo convergere diversi orientamenti di pensiero, presenti nelle scienze sociali e biologiche del Novecento. Pur essendo di formazione psicoanalitica, Bowlby si ispirò ai principi della teoria dell’etologia, concependo il legame affettivo in funzione dell’adattamento della specie.
Le caratteristiche dell’attaccamento precoce giocano un ruolo cruciale nel determinare condizioni protettive o nel rappresentare fattori di rischio per lo sviluppo psicopatologico in età evolutiva. Un attaccamento sicuro implica un maggior adattamento all’ambiente, mentre modelli disfunzionali dell’attaccamento (attaccamento insicuro-evitante, attaccamento insicuro-resistente, attaccamento disorganizzato) o modelli atipici rendono difficile l’adattamento psicosociale.
La caratteristica principale dei modelli di attaccamento atipici è rappresentata da una marcata incoerenza dei diversi comportamenti rispetto a una strategia definita per garantirsi la vicinanza alla madre. I disturbi dell’attaccamento segnalano un disturbo globale del sentimento di protezione e sicurezza del bambino e si sviluppano all’interno di relazioni gravemente patologiche in cui risulta alterata la funzione fondamentale del sistema dell’attaccamento: la possibilità che il bambino possa sperimentare un senso di sicurezza interno. In questo quadro clinico sono sempre presenti altri disturbi psicopatologici: ritardi dello sviluppo, disturbi della nutrizione, etc.
I bambini mostrano una capacità ridotta di rispondere in modo adeguato sia sul piano emozionale sia su quello sociale e perciò risultano gravemente compromesse le competenze sociali.
L’esordio del disturbo è da collocare prima dei 5 anni di età e i suoi principali indicatori sono la socialità indiscriminata (bambini che si affidano volentieri alle cure di chiunque e non protestano nel separarsi dalla propria figura di attaccamento) e l’isolamento.
Sono presenti in letteratura diverse categorie di “disturbo dell’attaccamento”:
1) Distorsioni della base sicura;
2) Disturbi di assenza di attaccamento (il bambino non mostra una preferenza per un adulto che lo accudisce);
3) Disturbo reattivo dell’attaccamento (DSM IV);
4) Disturbo da attaccamento interrotto (rottura dell’attaccamento).
12.2 Ansia da Separazione
l Disturbo da Ansia da Separazione colpisce circa il 4% dei bambini provenienti soprattutto da famiglie molto unite; la separazione da casa o dalle figure di accudimento provoca una serie di reazioni emotive quali apatia, tristezza e ritiro sociale ma, soprattutto, condotte ansiose.
Il bambino che manifesta ansia da separazione, laddove è allontanato dai suoi caregiver, può manifestare:
- un’inquietudine riguardo al futuro, spesso con la paura che sopraggiunga una disgrazia o una malattia;
- irritabilità, atteggiamenti di collera, rifiuti, capricci, ecc; richieste o il bisogno di avere vicino un adulto e di essere rassicurato;
- idee depressive con autosvalutazione e senso di colpa.
Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV), i bambini affetti da questo disturbo vengono spesso descritti come richiedenti, intrusivi e bisognosi di attenzioni costanti. Frequenti sono anche le paure che si colorano di caratteristiche diverse a seconda della età dei bambini. Così i bambini possono aver paura degli animali, dei mostri, del buio, dei rapinatori, dei ladri, dei rapimenti e della morte. Il rifiuto della scuola può portare a difficoltà scolastiche e ad evitamento sociale. L’ansia e l’anticipazione della separazione possono divenire evidenti nella media fanciullezza. Gli adolescenti con questo disturbo, anche se tendono a negare l’ansia, limitano notevolmente le loro attività e sono riluttanti a lasciare la casa.
L’Ansia da Separazione: normalità e patologia
Il fatto che il bambino sperimenti e manifesti ansia nel momento di separarsi con la sua figura principale di attaccamento non è di per sé considerato patologico. In effetti è considerato normale, anzi auspicabile, che il bambino protesti nel momento di allontanarsi dalla madre quando lo stesso ha compiuto l’ottavo mese. A partire da questo periodo, infatti, il bambino riconosce il volto materno e ha la percezione della sua assenza tanto da sviluppare una paura del viso dell’estraneo. La sua reazione di angoscia sta a indicare la paura fisiologica di perdere sua madre e, nello stesso tempo, la sua acquisita capacità di differenziare il familiare dall’estraneo. È normale allora, intorno all’ottavo mese e fino al quattordicesimo, osservare le proteste del bambino ogni qualvolta la figura di attaccamento sparisce dal suo campo visivo. Ma nei mesi che seguono ai primi segni dell’angoscia dell’ottavo mese, il bambino diventa via via più capace di relazionarsi con il mondo esterno, inizia a comprendere i gesti sociali e a differenziare le sue emozioni. L’acquisizione di una maggiore capacità di muoversi, per l’avvenuta ulteriore maturazione neurologica favorisce, quando è consentita senza ansie da parte dei genitori, la possibilità di allontanarsi e riavvicinarsi, senza il timore di perdere le figure significative. Ciò significa che non può essere fatta una diagnosi di disturbo da Ansia da Separazione nel bambino piccolissimo poiché deve essere ricordata l’angoscia di separazione considerata evolutiva, propria cioè dello sviluppo. Se tuttavia i comportamenti oppositivi a qualsiasi forma di allontanamento dalle figure di accudimento persistono nel tempo si può cominciare a parlare di un vero e proprio disturbo.
Criteri diagnostici per il Disturbo d’Ansia da Separazione
Per poter fare una diagnosi di tale disturbo devono essere presenti dei precisi comportamenti. Nello specifico, i criteri diagnostici per il Disturbo d'Ansia da Separazione secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali sono i seguenti:
A. Ansia inappropriata rispetto al livello di sviluppo ed eccessiva che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1. malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o quando essa è anticipata col pensiero;
2. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa di dannoso;
3. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito);
4. persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione;
5. persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti;
6. persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa;
7. ripetuti incubi sul tema della separazione;
8. ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la separazione dalle principali figure di attaccamento.
B. La durata dell'anomalia è di almeno 4 settimane.
C. L'esordio è prima dei 18 anni.
D. L'anomalia causa un disagio clinicamente significativo o la compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre importanti aree del funzionamento.
E. L'anomalia non si manifesta esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico e, negli adolescenti e negli adulti, non è meglio attribuibile ad un Disturbo di Panico con Agorafobia.
12.3 Disturbo Generalizzato di Sviluppo
DSM IV ed è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo sia nella clinica che nella ricerca.
Nel DSM IV le psicosi dell’infanzia sono definite sotto la categoria Disturbi generalizzati dello sviluppo che comprende:
- Disturbo autistico
- Disturbo di Asperger
- Disturbo disintegrativo della fanciullezza
- Disturbo di Rett
- Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato
12.3.1 Il Disturbo autistico
Il Disturbo autistico corrisponde a quello che in altre classificazioni viene chiamato autismo infantile precoce e autismo di Kanner. I criteri diagnostici per il Disturbo autistico, secondo il DSM IV sono (p. 88-89):
I. Un totale di 6 (o più) voci da 1), 2), e 3), con almeno 2 da 1), e uno ciascuno da 2) e da 3):
1. Compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:
a. Marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l'interazione sociale;
b. Incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo;
c. Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
d. Mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per. es. non mostrare, portare, né richiamare l'attenzione su oggetti di proprio interesse).
2. Compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
a. Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica);
b. In soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
c. Mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
3. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
a. Dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;
b. Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
c. Anierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);
d. Persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;
II. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età:
1. Interazione sociale
2. Linguaggio usato nella comunicazione
3. Gioco simbolico o di immaginazione.
III. L'anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della fanciullezza.
12.3.2 Disturbo di Asperger
Un'altra condizione autistica, descritta nel 1944 dall'austriaco Hans Asperger, con il nome di psicopatia autistica, viene classificata dal DSM IV con il nome di Disturbo di Asperger. Nei bambini con questa patologia il comportamento autistico viene osservato verso i 3-4 anni, dopo un periodo in cui lo sviluppo psicomotorio, quello del linguaggio e il livello intellettivo sono sostanzialmente adeguati. In questo disturbo ciò che risulta man mano più compromessa è la capacità di relazione sociale e la varietà degli interessi sociali.
I bambini con Disturbo di Asperger difettano nello sviluppo di quella che è stata chiamata teoria della mente, così come i bambini con Disturbo autistico. Ciò nonostante i primi risultino in genere di intelligenza normale.
12.3.3 Il Disturbo disintegrativo della fanciullezza
Il Disturbo disintegrativo della fanciullezza è una categoria diagnostica che viene denominata, all'interno di altre classificazioni, come Sindrome di Heller o psicosi disintegrativa. Circa la prevalenza non ci sono dati epidemiologici chiari, anche se si ritiene che questo disturbo sia molto raro e più presente nei maschi. A differenza del Disturbo autistico, questo disturbo esordisce dopo un periodo di sviluppo apparentemente normale nei primi due anni a cui segue (DSM IV, p 92):
I. Perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite in precedenza (prima dei 10 anni) in almeno due delle seguenti aree:
1. Espressione o ricezione del linguaggio;
2. Capacità sociali o comportamento adattivo;
3. Controllo della defecazione e della minzione;
4. Gioco;
5. Abilità motorie.
II. Anomalie del funzionamento in almeno due delle seguenti aree:
1. Compromissione qualitativa dell' interazione sociale (per es., compromissione dei comportamenti non verbali, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei, mancanza di reciprocità sociale o emotiva);
2. Compromissioni qualitative della comunicazione (per es., ritardo o mancanza del linguaggio parlato, incapacità di iniziare o sostenere una conversazione, uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio, mancanza di giochi vari di imitazione);
3. Modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, incluse stereotipie motorie e manierismi.
12.3.4 Il Disturbo di Rett
Il Disturbo di Rett è una malattia neurologica che colpisce soltanto le bambine e che esordisce in genere verso la fine del primo anno, dopo un periodo in cui lo sviluppo della bambina è apparentemente normale. Questo disturbo, descritto per la prima volta dall'austriaco Andreas Rett nel 1966, comporta un ritardo dello sviluppo e assume, nelle prime fasi della malattia, le caratteristiche tipiche del comportamento autistico; gli aspetti autistici, tuttavia, in genere scompaiono con la crescita. La caratteristica fondamentale di questo disturbo è l'aprassia, particolarmente accentuata nelle mani, che la bambina muove continuamente in modo stereotipato, come se le stesse lavando; questo comportamento è permanente durante la veglia e scompare durante il sonno. In genere il linguaggio è assente, la deambulazione difficoltosa, e spesso è presente l'epilessia. Non esistono dati sulla prevalenza, anche se si evidenzia una frequenza molto più bassa rispetto al Disturbo autistico. La presenza del disturbo nelle sole bambine, insieme al tipo di esordio ed evoluzione e ai tipici movimenti stereotipati consentono la diagnosi differenziale nei confronti di altri Disturbi generalizzati dello sviluppo.
Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato
L'ultima categoria utilizzata dal DSM IV è quella del Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato. Questa è una categoria residua con cui andrebbero diagnosticati tutti quei bambini che pur presentando una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo sociale e relazionale, comportamenti stereotipati e compromissione della comunicazione verbale e non verbale, non rientrano in nessuna delle categorie specifiche descritte sopra. In questa categoria viene compreso anche l'Autismo Atipico dell'ICD 10.
Per gli altri disturbi psicotici dell'infanzia e dell'adolescenza, come quelli dell'umore o la schizofrenia (che compaiono nella classificazione francese), non ci sono categorie specifiche separate da quelle valide per l'adulto.
12.4 Ritardo Mentale
Il Ritardo Mentale e’ una condizione di interrotto o incompleto sviluppo delle facoltà intellettive e adattative. Il quoziente intellettivo (il rapporto tra età anagrafica ed età mentale) è di molto inferiore alla media, dai 75-70 punti in giù (contro i 90-109 di un’intelligenza considerata normale). Esistono diversi gradi di ritardo mentale, da lieve a gravissimo. Le cause possono essere organiche, genetiche e/o psicologiche.
La caratteristica principale del ritardo mentale è rappresentata dalla presenza di un funzionamento intellettivo significativamente inferiore alla media a cui si accompagnano limitazioni importanti nel funzionamento affettivo, sociale e scolastico del bambino o adolescente. Il ritardo mentale può essere lieve, moderato, grave, profondo e l’esordio si colloca temporalmente prima dei 18 anni di età.
Ritardo mentale lieve (QI compreso tra 50 e 70)
I bambini affetti da un ritardo mentale lieve sviluppano competenze sociali e comunicative in età prescolare, hanno modeste difficoltà nell’area senso-motoria e spesso non sono distinguibili dagli altri coetanei fino ad un’età superiore. Riescono a raggiungere facilmente la quinta elementare ed un livello di apprendimento corrispondente alla prima e alla seconda media. Da adulti, di solito, riescono a badare a se stessi, ma possono necessitare di un aiuto e di una guida in situazioni inusuali.
Ritardo mentale moderato (QI compreso tra 35/40 e 50/55)
La maggior parte dei soggetti acquisisce competenze comunicative nella prima infanzia e, con moderata supervisione, è in grado di badare a sé. Miglioramenti significativi si possono ottenere con insegnamenti occupazionali e sociali, ma l’apprendimento rimane comunque limitato, il che può comportare anche problematiche relazionali. Da adulti possono svolgere lavori semplici in comunità protette.
Ritardo mentale grave (QI compreso tra 20/25 e 35/40)
I soggetti con ritardo mentale grave presentano un linguaggio grossolano o assente, possono imparare compiti elementari e, da adulti, possono essere in grado di svolgere attività semplici in strutture supervisionate.
Ritardo mentale profondo (QI uguale a 20/25)
La maggior parte dei soggetti con questo tipo di ritardo mentale presenta malattie neurologiche non identificate. Nella prima infanzia possono migliorare le funzioni senso-motorie, specie se inseriti in gruppi strutturati con supervisione stretta.
Ritardo mentale non altrimenti specificato (N.A.S.)
Comprende quei bambini con deficit multipli di cui è difficile valutare il livello di insufficienza mentale, presumibile soltanto attraverso l’osservazione esterna.
Solitamente un bambino con ritardo mentale giunge all’osservazione di uno psicologo o un neuropsichiatra infantile poiché manifesta capacità più o meno gravi di problem solving, di adattamento e di autonomia personale rispetto a quelle tipiche dei coetanei, a seconda del livello del ritardo, in aree importanti (cura personale, abilità relazionali, autosufficienza, rendimento scolastico etc.). È importante saper individuare altri eventuali e ulteriori fattori che possono influenzare il funzionamento adattivo del bambino, come caratteristiche di personalità, altri disturbi o disabilità.
La diagnosi consiste nello stabilire la presenza di ritardo mentale e nel cercare di individuarne le cause sottostanti. L'accurata valutazione della causa di base può contribuire a individuare la prognosi, suggerire programmi educativi e di esercizio, aiutare nel counceling genetico e alleviare il senso di colpa dei genitori.
L'anamnesi (inclusa quella perinatale, dello sviluppo, neurologica e familiare) può aiutare a individuare bambini a rischio di ritardo mentale. In questi bambini devono essere effettuate molto precocemente valutazioni visive, uditive, psicomotorie, neurologiche e fisiche in generale, che devono ripetersi periodicamente. Nei bambini ad alto rischio o con sospetto ritardo di sviluppo, vanno effettuati test specifici per stabilire il grado di sviluppo e di intelligenza. Esistono test intellettivi standardizzati, in grado di individuare e misurare capacità intellettive sotto la media; tuttavia tali test sono soggetti a errore e devono essere interpretati con cautela, soprattutto quando non confermati dai reperti clinici.
Molti studi scientifici dimostrano che soggetti affetti da ritardo mentale presentano un alto grado di comorbidità con altri disturbi come disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, disturbi dell’umore, disturbi pervasivi dello sviluppo, disturbi da movimenti stereotipati. Alcune manifestazioni presenti in questo tipo di disturbo, infine, si possono ritrovare anche in altre patologie; ad esempio il ritardo mentale grave e medio può presentare degli aspetti in comune con i disturbi generalizzati dello sviluppo, mentre il ritardo mentale lieve potrebbe essere confuso con un disturbo dell’apprendimento. Il momento della diagnosi è dunque estremamente importante e delicato, sia per l’impostazione degli interventi, sia per un’attenzione dovuta ai genitori, che hanno bisogno di aiuto e sostegno da subito.
Cause del ritardo mentale
Biologiche e genetiche. A volte il ritardo mentale è dovuto ad anomalie cromosomiche come ad esempio trisomie o delezioni di alcuni cromosomi, oppure a condizioni ereditarie dominanti, per cui se un genitore ne è affetto c'è un rischio su due che il figlio erediti la condizione (es. sclerosi tuberosa, fenilchetonuria etc.). Il ritardo mentale può essere causato anche da fattori biologici non genetici, come infezioni in gravidanza (rosolia, toxoplasma etc.), incompatibilità tra sangue materno o fetale, l’uso di alcool o droghe. Tra i rischi perinatali vi sono quelli legati a prematurità ed asfissia. Tra quelli postnatali vi sono encefalite, meningite (infiammazioni del cervello o delle membrane che lo rivestono), traumi e tumori cerebrali, incidenti cerebrovascolari, lesioni cerebrali ed avvelenamenti.
Ambientali. Gravi carenze nelle cure, o a livello sensoriale, affettivo, sul piano degli scambi con l’ambiente possono provocare alterazioni dello sviluppo psichico della persona, spesso irreversibili, che si possono riflettere anche sullo sviluppo somatico e sulla maturazione neurologica. Uno svantaggio socioculturale (economico, familiare, culturale) può favorire un ritardo mentale, specie in individui che presentano già limiti cognitivi.
Conseguenze indirette di disabilità, ad esempio sensoriali. Il ritardo non sarebbe direttamente collegato alla mancanza, ad esempio, della vista o dell’udito, ma da una stimolazione ambientale inadeguata alle peculiarità dello sviluppo psicofisico in assenza di un canale sensoriale.
12.5 Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DCA)
All’interno delle varie difficoltà che possono colpire un minore, i disturbi dell’apprendimento si presentano con proprie specificità e precise richieste di interventi. Si tratta di un disturbo in forte aumento tra la popolazione generale tale da richiedere interventi individualizzati proprio per evitare un vero e proprio disadattamento scolastico dovuto a un insufficiente rendimento nelle varie discipline. Un alunno con problemi di apprendimento inserito in una classe comune richiede, infatti, strategie pedagogiche, educative e didattiche specifiche.
Cosa si intende con l’espressione “Disturbi dell’Apprendimento”? Si legge sul Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM IV: “I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di calcolo, di scrittura. Demoralizzazione, scarsa autostima e deficit nelle capacità sociali possono essere associati ai disturbi dell’apprendimento”. La percentuale di bambini o adolescenti con Disturbi dell'Apprendimento che abbandonano la scuola è stimata intorno al 40% (o circa 1,5 volte in più rispetto alla media). E una volta divenuti adulti, i soggetti con Disturbi dell'Apprendimento possono avere notevoli difficoltà nel lavoro o nell'adattamento sociale. Nello specifico, i Disturbi dell'Apprendimento vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo, o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all'età, all'istruzione e al livello di intelligenza.
12.5.1 Dislessia
La dislessia è un disturbo della lettura caratterizzato dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente.
È il prototipo dei DSA, infatti i primi studi risalgono alla fine del 1800.
Il bambino dislessico non automatizza il processo di lettura, è meno veloce e accurato della lettura rispetto ai coetanei. Il disturbo è solo strumentale, dal momento che i bambini dislessici sono intelligenti e possiedono buone abilità metacognitive, riescono cioè a fare un’autovalutazione sul funzionamento della propria mente e quindi a individuare e analizzare i problemi nella comprensione durante l’ascolto o la lettura. Spesso la dislessia si accompagna alla disortografia (disturbo dell’automatizzazione delle regole ortografiche) e alla discalculia (disturbo del sistema dei numeri e del calcolo), insieme fanno parte dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). Nel Bambino Dislessico la correttezza nella lettura di solito migliora “naturalmente” con il progredire della scolarizzazione, anche se non raggiunge mai i livelli delle persone con assenza di disturbo. La rapidità si modifica più difficilmente, perché è in relazione con la capacità dei processi di diventare automatici. La comprensione della lettura, che dipende non solo dalla decodifica, ma anche da altri fattori, come le capacità cognitive e la comprensione verbale, può essere compromessa e influenzare l’apprendimento delle materie di studio.
TRATTAMENTO
E’ necessario effettuare una “presa in carico” globale, un intervento continuativo per una coordinazione di interventi, con lo scopo di ridurre il disturbo, favorire l’inserimento scolastico, sociale e lavorativo e il più completo sviluppo delle potenzialità dei singoli individui.
I trattamenti più efficaci sono quelli che utilizzano procedure informatizzate per automatizzare il processo di riconoscimento lessicale e sublessicale.
Il trattamento abilitativo raggiunge risultati migliori nella correttezza rispetto alla velocità e ha effetto dalla terza elementare alla terza media.
12.5.2 Disgrafia
La disgrafia è una difficoltà nella grafia. La Scrittura è irregolare per dimensione e/o pressione, vi è scarsa capacità ad utilizzare lo spazio sul foglio e a mantenere la direzione orizzontale dello scritto, i margini non vengono rispettati, gli spazi tra i grafemi e tra le parole sono irregolari.
È difficilmente decifrabile. La disgrafia è un disturbo specifico dell’apprendimento, in assenza di deficit intellettivi e neurologici, che incide sulle funzioni fondamentali della scrittura.
Si manifesta come difficoltà a riprodurre sia i segni alfabetici che quelli numerici; essa riguarda esclusivamente il grafismo e non le regole ortografiche e sintattiche, sebbene influisca negativamente anche su tali acquisizioni a causa della impossibilità di rilettura e di autocorrezione. Generalmente quando si parla di disgrafia ci si riferisce ai bambini, ma quest’attribuzione non è del tutto giusta, in quanto è nell’esperienza comune incontrare adulti disgrafici. Si parla di disgrafia quando c’è:
•scarsa leggibilità;
• lentezza e stentatezza;
• disorganizzazione delle forme e degli spazi grafici;
• scarso controllo del gesto;
• confusione e disarmonia;
• rigidità ed eccessiva accuratezza;
• difficoltà nell’atto scrittorio in presenza di crampi o dolori muscolari.
Va individuata precocemente in quanto tende a peggiorare nel tempo, può avere riflessi sullo sviluppo della personalità e incidere negativamente sul rendimento scolastico, innescando sentimenti di delusione, scoraggiamento e demotivazione.
TRATTAMENTO
L’intervento terapeutico deve essere personalizzato. Esso comprende attività relative all’impostazione dei grafemi e scrittura in stampato maiuscolo e impostazione dei grafemi e scrittura in corsivo. Il bambino inoltre dovrà essere informato circa il lavoro da svolgere, dovrà essere coinvolto nella formulazione degli obiettivi e nel monitoraggio del proprio lavoro. Solo se sarà protagonista, potrà coinvolgersi attivamente nelle proposte, autogratificarsi per i piccoli progressi, non scoraggiarsi di fronte agli insuccessi né arrendersi davanti ad attività spesso un po’ noiose e ripetitive. Può verificarsi che, dopo un miglioramento nell’esecuzione dei prodotti grafici, una volta abbandonato l’esercizio, la difficoltà si ripresenti.
12.5.3 Disortografia
E’un disturbo che si manifesta con una significativa difficoltà nel rispettare le regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto.
Sconosciuta fino a qualche tempo fa, la “disortografia”, si starebbe diffondendo in maniera assai rapida e preoccupante fra i bambini in età scolare. Attualmente alcuni dichiarano un’incidenza del 2-8%, e una frequente associazione con la “dislessia”.
Vengono cioè commessi molti errori e di varia tipologia, ad esempio:
–Confusione tra fonemi simili
Il soggetto confonde cioè i suoni alfabetici che si assomigliano, ad esempio F e V; T e D; B e P; L e R, ecc.
–Confusione tra grafemi simili
In questo caso il soggetto ha difficoltà a riconoscere i segni alfabetici che presentano somiglianza nella forma, ad esempio: b e p;
–Omissioni
E’ frequente che il soggetto tralasci alcune parti della parola, ad esempio la doppia consonante (palla-pala); la vocale intermedia (fuoco-foco); la consonante intermedia (cartolina-catolina).
–Inversioni
Questo tipo di errore riguarda le inversioni nella sequenza dei suoni all’interno della parole.
TRATTAMENTO
E’ molto importante la precocità dell’intervento riabilitativo che, a seconda dell’età del bambino e delle caratteristiche cliniche presentate, può avere diversi obiettivi.
Nei bambini più piccoli, il trattamento verterà sulle componenti di pre-scrittura e pre-lettura, si insegna al bambino a ragionare sui suoni (fonemi) attraverso esercizi. Il lavoro con il bambino disortografico deve porre l’attenzione sulle regole ortografiche della lingua italiana, quindi insisterà sull’apprendimento dei gruppi ortografici. Infine si esercita il bambino all’automatizzazione del riconoscimento ortografico e della produzione scritta.
Le abilità di lettura e di scrittura si potenziano e si rinforzano reciprocamente.
12.5.4 Discalculia
Con il termine discalculia non si intende fare riferimento alle difficoltà che, in modo più o meno frequente, vengono osservate nella comprensione di quella materia a volte complessa, che è la matematica.
Con tale termine si fa invece riferimento a un disturbo specifico del sistema dei numeri e del calcolo in assenza di lesioni neurologiche e di problemi cognitivi più generali.
Per questo motivo, è importante sottolineare che la discalculia si manifesta nonostante un’istruzione normale,un’intelligenza adeguata,un ambiente culturale e familiare favorevole.
E’ un deficit del sistema di elaborazione dei numeri e/o del calcolo. Vi può essere difficoltà nell’associare il numero alla quantità, o a capire che 2, II e la parola DUE abbiano lo stesso valore. Inoltre un bambino discalculico può non avere in mente la linea dei numeri e/o non capire il valore posizione delle cifre (es.: 345≠354). Può anche trovare difficoltà nel ricordare l’ordine procedurale di un’operazione, di un’equazione,… o nell’utilizzare i simboli aritmetici, ecc.
Tale disturbo coinvolge, in particolare, l’acquisizione di abilità relativamente semplici, quali ad esempio la scrittura e la lettura dei numeri e il sistema del calcolo (come ad esempio la memorizzazione delle tabelline, l’esecuzione delle procedure di calcolo ecc.).
La discalculia viene suddivisa in primaria e secondaria:
– la discalculia primaria rappresenta il disturbo delle abilità numeriche e aritmetiche
– la discalculia secondaria si presenta associata ad altri problemi di apprendimento, quali la dislessia, la disgrafia, ecc.
TRATTAMENTO
Il trattamento avviene con l’ausilio di attività che ripresentano regole e procedimenti attraverso il canale concreto e semi-concreto, mobilitando contemporaneamente l’attenzione, la rappresentazione simbolica e le associazioni spazio-temporali. E’ essenziale rendere il bambino consapevole delle regole e dei procedimenti e che queste possono essere applicate a situazioni diverse.
12.6 Mutismo Selettivo
Il "Mutismo Selettivo", è caratterizzato dall'uso appropriato del linguaggio in alcune situazioni, in particolare quelle familiari e da una totale e persistente assenza dell'uso della lingua parlata altrove, ad esempio a scuola. Proprio per questo motivo la presenza del disturbo viene spesso riconosciuta solo dopo l’ingresso a scuola, mentre in realtà i primi sintomi compaiono generalmente tra 1 e 3 anni di età. Essi sono la timidezza, il rifiuto di parlare in alcune situazioni, un comportamento riservato, etc.
Nella maggior parte dei casi, il bambino parla con uno o più membri della famiglia, soprattutto con la madre, qualche volta con uno o alcuni coetanei, ma non con gli estranei, e non in contesti al di fuori della famiglia. Nella scuola, in tempi e momenti ristretti può sussurrare con qualche compagno, ma nel grande gruppo resta generalmente silenzioso.
La maggioranza dei bambini elabora un'efficace modalità di comunicazione non verbale (indicando, sorridendo, scrivendo, rimanendo immobili affinché qualcuno non indovini il messaggio etc.) e se l’ambiente che lo circonda interpreta correttamente questi messaggi e risponde in maniera coerente con essi, sta rinforzando questo tipo di comunicazione. Questo, se da una parte è comprensibile e funzionale, favorisce l’uso sempre più costante di questo tipo di comunicazione a scapito di quella verbale.
Spesso il disturbo è sottovalutato dall’esterno, il che è rischioso, specie se a minimizzare è ad esempio il pediatra (“suo figlio è solo timido, gli passerà”): una sottostima dei sintomi ritarda il ricorso a strategie e interventi efficaci e dunque al rinforzo del disturbo, con relativo aumento della frustrazione da parte dei genitori, combattuti tra la tentazione di sminuire anch’essi il problema e il bisogno di confrontarsi con la realtà anche per attivarsi in maniera adeguata.
L’impatto con tale realtà si fa più duro quando, con l’ingresso a scuola, il disturbo si palesa e viene esplicitato dagli insegnanti: quando il mutismo selettivo viene finalmente riconosciuto, la media dei bambini con questo disturbo è muta già da due anni. A quel punto il comportamento non-verbale è diventato un atteggiamento consolidato, molto difficile da modificare.
Secondo il DSM-IV, i criteri diagnostici per individuare un bambino selettivamente muto sono i seguenti:
• il bambino non parla in determinati luoghi, come la scuola o altre situazioni sociali;
• il bambino parla normalmente nelle situazioni in cui si trova a suo agio, come nella propria casa (sebbene alcuni bambini possano essere muti in casa);
• l'incapacità del bambino di parlare interferisce con la sua capacità di "funzionare" nel contesto scolastico e/o nelle situazioni sociali;
• il mutismo dura da almeno un mese;
• non sono presenti disturbi della comunicazione (come la balbuzie) e altri disturbi mentali (come autismo, schizofrenia, ritardo mentale).
12.7 Disturbi della Condotta